2018
Victor Andres Annunziata Patino

La follia della normalità

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Fin da quando ero piccolo, mi sono sempre posto delle domande.

“Cosa voglio fare da grande?”, “C’è un lavoro che mi farebbe felice?”, “Perché in tv fanno sempre vedere i grandi che sembrano stressati, tristi, stufi quando rientrano a casa dal lavoro?”.

Sono cresciuto. Ho vissuto il mondo del lavoro solo in parte, ma anche già la scuola è un ambiente che richiede un determinato tasso di impegno, energie, tempo: richiede organizzazione e spesso sacrificio, dato che molto spesso sono i nostri superiori (nella scuola i nostri professori) ad essere disorganizzati e ad assegnare lavoro a casa addirittura il giorno prima della consegna richiesta, nonostante il tempo tra una lezione e l’altra preveda diversi giorni in mezzo.

I giorni sono scanditi da un ritmo non spezzabile: so esattamente cosa farò oggi, questa sera, domani, tra una settimana. Ho la sensazione di avere sempre meno tempo, sempre più impegni, sempre più posti in cui devo essere ciò che vogliono gli altri, senza la possibilità di essere me stesso.

Nonostante tutto la scuola è spesso piacevole perché mi piace ciò che faccio, mi piace l’informatica e ho la curiosità di conoscere la magia che si cela dietro il funzionamento di questa mia passione. Ma per molti non è così.

Ci sono molti miei conoscenti che hanno scelto il mio stesso percorso scolastico semplicemente per “avere un diploma”, nonostante questa scuola non piaccia particolarmente, perché “oggi già con la laurea fai fatica, senza diploma non vai da nessuna parte”.

Ora supponendo che si prenda questo diploma e di conseguenza si riesca a trovare questo lavoro, i soldi arriveranno: e se questo lavoro non fosse davvero la propria vocazione? Passeranno 10, 20, 40 anni senza accorgergersene, se non alla fine del proprio percorso, di aver passato una vita intera a fare una cosa che non ci piace, per portare quel po’ di soldi a casa e ogni tanto dopo tanto sudore e sacrifici (se si è fortunati) riuscire a concedersi qualche piccolo lusso, spesso una vacanza da una settimana o cose di relativa utilità.

La cosa che mi fa rabbrividire è che ormai ho la sensazione che tutto questo, in generale, vada più che bene all’italiano medio, nonostante non sia felice, come fosse colpa di altri, come se non si potesse fare nulla a riguardo.

Dove è finita quell’insaziabile sete ambiziosa di portare avanti le proprie passioni che per secoli ha fatto grande l’Italia?

Il motivo per cui la scuola ai miei occhi è così oppressiva è perché insegna a fare calcoli, insegna un metodo di studio, insegna la disciplina, le competenze, come scrivere correttamente, l’approccio storico e scientifico.

C’è però una cosa che la scuola non insegna e, anzi, tende a tagliare le ali agli studenti.

La scuola non insegna a sognare.

E’ come insegnare a guidare una persona che però una macchina non l’avrà mai.

Ho notato, nella mia personale esperienza scolastica, una tendenza dalla maggior parte dei professori a rimettere “con i piedi per terra” chiunque pensasse un po’ fuori dagli schemi.

Ciò avviene perché sono spesso gli stessi professori a fare un lavoro che non gli piace e ad essere stressati, creando un circolo vizioso che porta alla situazione italiana moderna, cercando sempre capri espiatori come gli immigrati, i politici, la crisi (non che questi non c’entrino niente).

Io mi rifiuto di seguire questa corrente di pensiero.

Non voglio seguire un’etichetta di comportamento in un ufficio prestigioso per poi, appena finito il lavoro, cambiare personalità: voglio essere sempre e comunque me stesso.

Chi me lo fa fare di lavorare per altri, in progetti in cui magari tra l’altro non credo, facendo arricchire gli altri con il mio lavoro?

Io voglio essere indipendente. O almeno provarci.

Se non c’è il lavoro che voglio me lo creerò facendo ciò che amo, come piace a me.

Vivrò la mia vita non per lavorare, ma per portare avanti le mie passioni, che mi porteranno comunque i miei guadagni: quanto mi sono impegnato e che valore aveva ciò che mi sono proposto di fare, non in base a quanto qualcun’ altro pensa che io meriti.

So che sono tante belle parole e che dovrò farmi in quattro per riuscirci.

Ma in fondo, oggi, la laurea ti garantisce forse un bel lavoro sicuro?

Questa è la mia scommessa contro il mondo.

Non sono così certo e presuntuoso da dire che ce la farò.

E’ possibile che io finisca a fare un lavoro esattamente del tipo di cui ho parlato male finora. Nonostante ciò quando arriverò a 60 anni non voglio guardarmi indietro e pensare che non ho fatto niente per raggiungere i miei obiettivi, di essermi adeguato a ciò che sembrava più comodo o sicuro.

Vedo la vita come una grande scommessa.

Non voglio solo tenermi le fiches in mano.

Voglio giocarmele, con fantasia, con sudore, con serenità, con speranza e con ambizione.

Non voglio far parte della follia di essere normale e adeguarmi alla situazione e a tutti gli altri.

Questo è il mio sogno.

 

  1. anche se dal testo può non sembrare, al momento vorrei fare anche l’università.